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Ascensione: fatti per le altezze

suor Marzia Ceschia

Già nel IV secolo è attestata la celebrazione della solennità dell’Ascensione che fino al 1977 in Italia era anche festa civile. L’orazione di colletta che la liturgia ci propone (domenica 29 maggio) ci orienta nella comprensione del senso profondo di quanto celebriamo: «Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria».

Quaranta giorni dopo la resurrezione del Signore i discepoli per l’ultima volta lo vedono in carne e ossa: «Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9). I discepoli – narrano gli Atti – rimangono attoniti, incantati, con gli occhi fissi al cielo (At 1,10), ma due uomini in bianche vesti li risvegliano ammonendoli: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1,11).

Quello che sta accadendo non è uno spettacolo che ci lascia sognanti, ma è l’aprirsi di una via che ci impegna fin da subito, ora, su questa terra. Solo a Dio è dato di salire e scendere insieme. Il Figlio torna al Padre, sull’uomo scende lo Spirito, che non sottrae alle esigenze della terra, ma dilata ai nostri occhi gli spazi in cui Lui ha da rivelarsi e in cui da ogni credente deve essere annunciato: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8).

Nove giorni dopo sarà la Pentecoste: da quel momento in poi ogni discepolo ha davvero in sé la capacità di “guardare dall’alto”, di avere una mentalità “dall’alto”, la mentalità di Colui che è asceso al cielo e che ci rende partecipi, mediante lo Spirito, della sua intimità col Padre, del cuore, della passione, dei desideri del Padre nei confronti di «ogni creatura» (Mc 16,15), «fino ai confini della terra» (At 1,8).

La solennità dell’Ascensione ci provoca a ripensare e verificare il nostro modo di abitare la storia, facendo verità sulle logiche (dall’ “alto” o dal “basso”?) che muovono le nostre scelte e a domandarci se effettivamente e concretamente la nostra fede non si riduca a un “incantamento”, a un disimpegnato fissare il cielo, distorcendo il significato delle altezze alle quali Dio ci attrae: non auto-elevazioni compiaciute di sé, ma l’accogliere “dall’alto” la potenza che ci abilita a fare i Suoi movimenti, a chinarci per servire. Siamo fatti per vivere a questo livello!

L’Ascensione è tutta un dinamismo, è propulsiva, ci scomoda e ci mette a confronto con l’icona dei discepoli che subito «partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,20). L’evangelista Luca, rispetto al racconto marciano, nella sua narrazione aggiunge i particolari della benedizione e della gioia: «Li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio» (Lc 24, 50-53).

Nel tempio i discepoli vivono l’anticipo della destinazione che Cristo salendo al Padre ci garantisce: anche noi – in Lui che è la Via – abbiamo accesso allo spazio di Dio e già qui sulla terra vivendo da figli e da discepoli possiamo pregustare questo “cielo” attendendo di esserne per sempre gli abitatori, quando – come confermiamo nel Credo – colui che è salito al cielo «di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine». «Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore - scrive sant’Agostino - Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con Lui».