Sulle strade del mondo

Il mese missionario straordinario, proclamato da papa Francesco per questo ottobre, mi porta a riflettere ancora sulle origini della mia scelta francescana.

Io, Antonio, da otto anni monaco agostiniano nelle abbazie di Lisbona e Coimbra, avviato a una tranquilla e forse prestigiosa carriera ecclesiastica, fui così profondamente colpito dal martirio dei fraticelli uccisi in Marocco da chiedere e ottenere di vestire il rozzo saio francescano a condizione – scrive la Vita prima – di essere inviato al più presto alla terra dei saraceni.

Quindi di prima istanza non furono gli ideali di povertà, castità e obbedienza, non dissimili da quelli cenobitici, seppur vissuti con maggiore rigore, a convincermi: fu l’impegno missionario. D’altra parte il movimento religioso avviato da frate Francesco è stato il primo a dedicare un’intera sezione della sua Regola alle missioni “tra i saraceni e gli altri infedeli”.

Detto questo, va osservato che i fraticelli in Marocco non sembrano seguire, almeno secondo le cronache, l’esempio di Francesco in Medio Oriente e le indicazioni scaturite da tale esperienza. Egli certo vi giunse con il proposito di convertire il sultano Al Malik al Kamil, ma senza usare un linguaggio offensivo o aggressivo verso la fede islamica.

La Regola non bollata prescrive ai frati di usare due modi di comportamento: «Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la Parola di Dio».

I cinque martiri ritennero che al Signore piacesse piuttosto una tenace, temeraria volontà d’annunzio, anche davanti al divieto del califfo. Fu questo ad attirarmi? Questa proclamazione coraggiosa e intransigente del nostro credo davanti agli infedeli? Questo nitore integrale che spazza tante ambiguità, opportunismi, compromessi covati nel monastero?

Colpisce il contrasto tra la mia prima scelta claustrale, dettata da un desiderio di separazione dal mondo e di approfondimento dotto della Parola e l’esplosione di un desiderio di predicazione libera, spontanea, eroica, aperta al confronto anche cruento con l’ambiente esterno.

Qui vengo al tema che papa Francesco ha indicato per il mese missionario straordinario: “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”. Un titolo che sottolinea “il senso missionario della nostra adesione di fede a Gesù Cristo, fede gratuitamente ricevuta come dono nel Battesimo”. «È un mandato che ci tocca da vicino: io sono sempre una missione; tu sei sempre una missione; ogni battezzata e battezzato è una missione.

Chi ama si mette in movimento, è spinto fuori da sé stesso, è attratto e attrae, si dona all’altro e tesse relazioni che generano vita». Queste parole sono profondamente francescane e io ne ho assaporato il senso sempre più nel corso della mia vita “missionaria” sulle nostre strade.

Francesco mandò i suoi frati, che erano cristiani qualunque, a predicare per il mondo, quello dell’islam, quello delle città italiane ed europee rese “infedeli” dall’arroganza del potere subdolo e tirannico, della ricchezza spietata e ingorda, della legge senza misericordia. «Come il Padre ha mandato me – dice Gesù – anche io mando voi, pieni di Spirito Santo, per la riconciliazione del mondo».

Nel Sermone dell’Ascensione ho parlato di questo comando evangelico rivolto a un uomo che non ha pace se non quando torna a Dio e va per il mondo a predicare a tutte le creature. Con rispetto, con coraggio.