Giornata del malato. Martedì 11 febbraio la Chiesa accanto a chi soffre

Per la 28a Giornata mondiale del malato, l’11 febbraio, papa Francesco, apre il suo messaggio con un invito di Gesù tratto dal Vangelo di Matteo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». In queste parole Gesù chiama tutti ad andare da lui, in particolare coloro che sono afflitti e sofferenti nel corpo e nello spirito, perché Lui promette sollievo.

«Il messaggio del papa – spiega don Giuseppe Cassandro, direttore dell’Ufficio per la pastorale della salute della Diocesi di Padova – è apparentemente semplice, ma, come ormai ci ha abituati, tocca dei passaggi sui quali è bene soffermarsi. Le parole di Matteo danno la possibilità di capire come la pastorale della salute si situi dentro il vivere, “nella notte e nel buio del corpo e dello spirito”». Si parla di lavoro degli operatori sanitari e dell’esperienza del limite, col possibile fallimento della scienza medica, della vita che va accolta e tutelata, ma anche dei contesti di guerra e conflitto, del potere politico che pretende di manipolare l’assistenza medica a proprio favore e delle tante persone che non hanno possibilità di accedere alle cure perché vivono in condizione di povertà. Temi attuali, urgenti, quotidiani.

«L’esperienza del dolore interroga tanto il credente quanto chi non crede perché ci pone davanti ai nostri limiti, al senso della malattia e dell’esistenza stessa. Nella sofferenza, il papa dice, non ci si deve accostare semplicemente all’umanità della persona, ma bisogna sapersi avvicinare diventando strumenti, persone che sanno portare a Gesù, a Colui che dà risposte che vanno “oltre”, che danno speranza e luce. Solo così accoglienza e incontro vivono nella sua totalità».

Perché in Cristo dovrebbe esserci una lettura nuova della sofferenza? Il papa lo dice chiaramente: Gesù ha condiviso il dolore e la sofferenza nella croce, ha quindi uno sguardo profondo, i suoi occhi “non corrono indifferenti”, e il “venite a me”, ha una tale forza perché Lui per primo ha vissuto in una condizione di tormento e ha trovato nel Padre l’amore e la prossimità, la misericordia che sono forza ristoratrice. Diverse sono le forme gravi di sofferenza, malattia, disabilità e l’invito del papa è di non lesinare mai un atteggiamento di umanità, anzi di personalizzare, se necessario, l’approccio con il malato, curando e prendendosi cura, con un sentimento di tenerezza che richiede un contatto, una relazione con la persona, tanto più quando il corpo e lo spirito sono provati e si ha ancora più bisogno di sensibilità, di un tocco, una carezza, la vicinanza di uno sguardo, sostegni fondamentali che valgono quanto se non di più di un medicinale. La freddezza nei rapporti crea disagio nella persona malata che non riesce a fruire appieno delle cure.

«Qui si tocca un altro tema molto importante – sottolinea don Cassandro – quello della “persona” ammalata. Incontriamo la persona e non la malattia, ma molto spesso si parla di organi, di patologie e non di ammalato nella sua interezza rischiando di svuotare e svilire la persona. La pastorale della salute interviene ad esempio nelle cappellanie ospedaliere: lì il rapporto è significativo se non è frettoloso, se c’è dialogo, vicinanza, accompagnamento, altrimenti è controproducente. E poi c’è anche la famiglia che soffre e chiede ugualmente conforto. Ecco che il ruolo della Chiesa è di diventare “locanda del buon samaritano”, come dice il papa, comunità dove trovare accoglienza e familiarità per accompagnare oltre l’orizzonte della malattia. La comunità cristiana si fa vicina alla persona sofferente e ne allevia la pena».

Ma chi sono gli operatori della pastorale della salute? L’equipe delle cappellanie negli ospedali? I ministri straordinari della comunione che vanno nelle case? In realtà non ci sono operatori in senso stretto. Oggi le direttrici che devono orientare il lavoro della pastorale della salute sono due: «Da un lato incentivare il lavoro di equipe – chiarisce il direttore dell’Ufficio diocesano – già attivo nelle cappellanie dove ci sono un sacerdote, un diacono, le suore, i ministri straordinari della comunione. Persone, competenze, sensibilità diverse, uomini e donne. Può sembrare banale, ma per una persona nel momento delicato della malattia avere approcci diversi aiuta. La seconda direttrice invece è quella di una pastorale integrata: non è infatti pensabile separare la pastorale della salute da altri ambiti, come la pastorale sociale o familiare. Il mondo della salute è cambiato, il malato non è solo in ospedale, nelle case di cura, negli hospice. È in casa, dove si intersecano problematiche di gestione di tempi, spazi, risorse e anche compresenza di generazioni diverse, anziani e bambini. Anziani malati e bambini. Come comunità cristiana quindi dobbiamo dare delle risposte alle famiglie, leggere i bisogni del territorio, interfacciarci con la comunità civile, i servizi sociali, le Ulss, le associazioni. Serve un coordinamento generale perché così la pastorale diventa davvero integrata e può dare risposte complete ed efficaci».

Istituita da papa Giovanni Paolo II, la Giornata mondiale del Malato ricorre l’11 febbraio, anniversario della prima apparizione di Maria a Bernadette Soubirous a Lourdes.

«Una giornata simbolica – spiega don Giuseppe Cassandro, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della salute – scelta perché il luogo richiama un atteggiamento di fede attorno alla sofferenza. Lourdes è luogo simbolico, è il primo santuario al quale si va con uno sguardo di fede e speranza sulla malattia e non solo per una guarigione.

La Giornata si celebra anche per richiamare un atteggiamento di fede attorno alla sofferenza e diventa così occasione di catechesi, di sensibilizzazione affinché la persona malata sia presa in carico da tutta la comunità, non un giorno solo, ma quotidianamente, perché quotidiana è la sua sofferenza».

 

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