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Una penna e un libro per cambiare il mondo

Laura Galimberti

nicolo govoni

Nicolò è un ragazzo “inadeguato”, bocciato due volte in seconda liceo, adolescente difficile. «A scuola non mi trovavo bene – racconta – Un sistema non adatto a me». Poi difficoltà relazionali con i coetanei e a casa con i genitori. Mi sentivo profondamente sbagliato, infelice e insoddisfatto. Mi dicevano: “Sei un nulla, finirai a impacchettare merendine!”». Nel vuoto totale inizia a desiderare di partire, andare lontano dalla sua città Cremona, scappare da tutto. «Cerco in rete qualcosa e trovo casualmente un’esperienza di volontariato in India. Non ci penso due volte e vado». La fuga in india. Quattro mesi in un orfanotrofio con venti bambini piccoli diventano così quattro anni. «Ero arrivato completamente impreparato e senza consapevolezza.

Ma ricordo con chiarezza un momento: ero seduto su una scala con le voci dei bambini in sottofondo. Il caldo e la natura rigogliosa tutt’intorno. Sentivo pace e pienezza, una sensazione mai provata fino ad allora. Avevo trovato il mio perché». Scatta così il cambiamento. «Ogni giorno avrei provato a cambiare, anche di poco, in meglio il mondo che mi circondava». Si iscrive all’università locale alla facoltà di giornalismo. Attiva una raccolta fondi per mettere in sicurezza la struttura dell’orfanotrofio, si laurea e rientra poi in Italia. Sensi di colpa iniziano ad affiorare. «In fondo stavo facendo sperimentare ora a quei bambini un secondo abbandono.

Anche le migliori intenzioni possono far male quando non sei preparato e ti improvvisi». In attesa di un master a New York, parte per l’isola di Samos, in Grecia. Sei mesi a disposizione da vivere nel centro di accoglienza e identificazione per profughi. Una struttura finanziata dall’Europa e pensata per 600 persone, ma ne accoglieva 7000, senza bagni, servizi e riscaldamento. «Denunciamo più volte le condizioni disumane in cui si trovano le persone. Dopo 9 mesi senza cambiamenti, con altre 2 volontarie – Giulia, italiana, e Sara, americana – decidiamo di innescare il cambiamento».

Nasce “Still I Rise” «Apriamo al campo la prima scuola di emergenza, Mazì, in greco “insieme”, un luogo sicuro in cui restituire ai bambini dell’hotspot (struttura allestita per identificare e accogliere i migranti) di Samos la loro infanzia negata, il loro futuro. Vivevano in tende nel bosco o in container sovraffollati. Il cibo era insufficiente, le condizioni igieniche e sanitarie inadeguate. Un sistema totalmente al collasso. Per loro abbiamo desiderato un luogo ristrutturato, trasformato in una scuola, arredato, in cui stare in sicurezza dalla mattina alla sera, consumare un buon pasto, fare sport, musica, matematica, inglese, arte, tornare a sognare».

Accoglienza e condivisione sono i cardini del progetto per dare ai bambini un punto di riferimento stabile e provare a risollevarsi. Fonda così a 25 anni “Still I rise” (letteralmente: “Ancora mi rialzo”), organizzazione no profit indipendente per i bambini più vulnerabili. dall’esperienza del fallimento alla nascita di tre nuove scuole Inizia il passaparola e la raccolta fondi via social. Il primo libro di Nicolò Govoni “Bianco come Dio” diventa un caso editoriale con Rizzoli. «Amavo scrivere e farlo per aiutare gli altri era il massimo. Stavo realizzando pienamente il mio sogno». Seleziona volontari in base alle attitudini, ai talenti. «È il voluntalento, l’alternativa al volonturismo (volontariato per turismo) che avevo sperimentato in prima persona». La Turchia, il paese con il maggior numero di profughi al mondo, era a soli 15 Km. «Pensiamo logico aprire una scuola anche lì» racconta. «Proviamo e sperimentiamo, dopo tanto impegno, un fallimento enorme. Non avevamo messo in conto la corruzione.

Un insuccesso che ci ha messo a dura prova, ma fatto crescere tanto». Negli anni successivi “Still I Rise” apre 3 scuole in due anni. La prima è in Siria ad Al Dana, nel nord ovest del Paese. «Un’area teatro di scontri, bombardamenti e rappresaglie dove i campi profughi sono 565 e gli sfollati oltre 840 mila. Nasce “Ma’an”, in arabo “insieme”, scuola per bambini e bambine dai 10 ai 14 anni. «Accogliamo sia gli sfollati interni che bambini della comunità locale, provata dalla guerra. Insegniamo inglese, arabo e matematica, distribuiamo pacchi alimentari e apriamo un luogo sicuro in cui i nostri studenti possono tornare a essere bambini». È poi la volta del Kenya. «Qui offriamo un baccalaureato internazionale gratuito a profughi di 8 paesi». Infine in Congo, dove «i bambini vengono tolti dalle miniere di cobalto e riportati nelle classi a ricostruire il loro futuro».

Il modello sperimentato a Mazì (a Samos, in Grecia), in grado di riabilitare i minori afflitti da traumi e privazioni, si struttura su quattro pilastri: la scuola è casa; i docenti sono famiglia; lo studente è al centro; il pensiero è globale, capace di abbattere le differenze, valorizzandole “proponendo l’apprendimento di concetti, non contenuti”. L’indipendenza di “Still I Rise” è il valore fondamentale. «Fin dal principio ci siamo sempre battuti per essere liberi di poter operare secondo i nostri valori e convinzioni, poter alzare la voce al posto dei nostri bambini. Accanto alle scuole continuiamo il nostro lavoro di denuncia per ridare voce e diritti a chi li vede negati».

Numerose le interrogazioni presentate al Parlamento europeo e italiano e le petizioni per favorire i corridoi umanitari. Progetti all’orizzonte “Still I Rise” non si ferma. I nuovi progetti puntano ad aprire una nuova scuola in Colombia e una in Italia dove «la scuola è in stato di emergenza» sottolinea Nicolò, riflettendo su dispersione scolastica, mancato aggiornamento professionale, insoddisfazione di docenti, presidi e genitori, ansia degli studenti e mancati investimenti. «Vogliamo creare un nuovo modello» conclude «che contamini il pubblico e inneschi il cambiamento». Nicolò – giovane “inadeguato” – nel 2020 è stato nominato al Premio Nobel per la Pace. Ora vive e lavora a Nairobi. Ha pubblicato nel 2019 “Se fosse tuo figlio” e nel 2020 il libro fotografico “Attraverso i nostri occhi”.