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ITALIA Settembre 23 sant antonio
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Monica Cornali

perdonare

Credo sia necessaria un po’ di chiarezza su cosa sia il perdono, come spesso sia stato erroneamente inteso e come sia importante una educazione al perdono: promuoverlo non per qualche ingiunzione morale, ma anzitutto per stare bene e quindi fare il bene. Nulla a che vedere con l’egoismo, quanto piuttosto col motto evangelico: Ama il prossimo tuo come te stesso. Ne propongo una lettura che integra visione spirituale e complessità delle dinamiche psichiche dell’uomo.

Da quando le scienze umane e le neuroscienze hanno messo in luce la complessità dei processi psichici e degli aspetti inconsci dell’essere umano, che mettono in discussione il concetto stesso di libertà (libertà “da” qualcosa e libertà “per” qualcosa), non ci si può pronunciare in maniera univoca e definitiva sull’essere umano. Proprio perché se ne riconosce il mistero, occorre riconoscerne la fragilità e la dignità, senza facili riduzionismi. La grande pensatrice tedesca Hannah Arendt (1906-1975), partendo dalla situazione di fragilità delle azioni umane, sostiene che chi abbia commesso azioni inique, in virtù del suo valere più degli atti da lui commessi, possa essere perdonato.

L’azione viene considerata deplorevole e sbagliata, ma nonostante ciò qualcosa del soggetto resta preservato; si esprime una fiducia, un credito rivolto alle risorse di rigenerazione del sé. Se ci disponiamo in questa ottica, della fragilità, “l’uomo colpevole appare come la vittima di un mistero di iniquità che lo rende degno di pietà prima che di collera”, come scrive un altro grande pensatore, il francese Paul Ricoeur (1913-2005). Dagli anni ’90 in poi, la ricerca psicologica ha evidenziato che gran parte dei blocchi delle persone e gran parte delle questioni sospese nel fine-vita, derivano da un perdono non dato/non ricevuto.

Certo il perdono non è un atto necessario e prevedibile da concedere, ma una possibilità. La possibilità di una azione nuova e inaspettata, un dono appunto, rispetto alla mera reazione alla colpa che è la vendetta. In quanto possibilità, il perdono si configura come un “processo”. Quando chiesero a Nelson Mandela, alla sua scarcerazione: «Come ha fatto a passare tutti questi anni in cella e a perdonare chi ce l’aveva con lei?», rispose: «Quando ho camminato verso l’uscita ho avuto chiara consapevolezza che se non avessi lasciato amarezza e odio dietro di me, sarei rimasto ancora in prigione».

Un errore comune assai diffuso è il pensare che il perdono debba partire da un sentimento, mentre il perdono è anzitutto una scelta della volontà che si orienta in un processo. Prima si sceglie di perdonare e poi, talvolta molto poi, i sentimenti si allineano. Non occorre aspettarsi che l’altro cambi per perdonare: a volte la persona cambia, a volte no. Ma perdonare intanto cambia noi. Sfatiamo altri luoghi comuni, e diciamo che il perdono non equivale a una rimozione, una dimenticanza, un oblio.

Non è “metterci una pietra sopra”; non è nemmeno distrarsi, reprimere il dolore. Diversi studi hanno messo in luce che numerose sono le resistenze al perdono: a volte continuare a provare rancore, ira, risentimento è un modo di tenere imprigionate le persone, un recitare continuamente il ruolo della vittima; a volte non si perdona perché si ritiene che la persona debba soffrire e pagare tutto quello che ha fatto, come se questo fosse un atto riparativo, mentre è una sorta di punizione/vendetta, volta a umiliare la persona.

Ci si appella al senso di giustizia, che però è un parametro civile, mentre il perdono è un fattore umano, esistenziale, spirituale. Infine, sottolineiamo una distinzione fondamentale: quella tra perdono e riconciliazione. Se il perdono è incondizionato, la riconciliazione a volte è condizionale. Rinunciare al desiderio di punire, vendicarsi, farla pagare, umiliare l’altro non significa necessariamente riprendere la relazione; a volte è anzi necessario creare chiari confini per non subire comportamenti o atteggiamenti che una persona problematica può reiterare.

I benefici del perdono sono stati evidenziati anche dalla ricerca neuro-fisiologica: da un lato la stretta correlazione tra la rabbia cronica e un profilo emodinamico cardiotossico, dall’altro la correlazione tra il perdono e un profilo emodinamico cardioprotettivo, con rilascio di endorfine. Sono stati riscontrati inoltre, dal punto di vista psicologico, diminuzione di ansia e depressione, aumento di empatia, miglioramento della capacità relazionali, maggior consapevolezza e libertà interiore. Imparare a perdonare fa bene a noi stessi e agli altri.