Anno 132 - Giugno 2020

Giustizia è spendersi per l’altro

fr. Antonio Ramina

Se c’è un moto dell’animo che caratterizza in maniera particolare uomini e donne di ogni tempo e che immediatamente ci smuove quasi per istinto, forse dovremmo richiamare proprio ciò che succede dentro di noi quando ci accorgiamo che la giustizia non viene rispettata. Proprio in queste situazioni sperimentiamo uno tra i più forti impulsi interiori. Questo non significa, allora, che siamo sempre capaci di comportarci secondo giustizia; e nemmeno vuol dire che siamo sempre in grado di opporci con fermezza quando ci troviamo di fronte a gravi violazioni della giustizia.

Possiamo però dire, per lo meno, che senza bisogno di tanti ragionamenti si risveglia in noi un guizzo di rivendicazione quando ci rendiamo conto che altre persone sono trattate ingiustamente. Sant’Antonio fu certamente una delle figure più luminose da questo punto di vista. Anche a costo di pagare di persona, infatti, non rinunciò mai a dire parole di fuoco contro l’ingiustizia, soprattutto quando a essere ingannati erano i poveri. Emblematico, sotto questo profilo, è il fatto che il nostro Santo abbia richiesto con insistenza, proprio alcuni mesi prima di morire, che gli Statuti comunali di Padova alleggerissero notevolmente le pesantissime conseguenze a cui andavano incontro le vittime dell’usura, all’epoca una delle forme d’ingiustizia più diffuse e violente. A cadere nei lacci mortiferi dell’usura erano spesso i più bisognosi, vedove e orfani.

Richiamandosi a un versetto della Sacra Scrittura – «Fuggi il peccato come alla vista del serpente, perché se ti avvicini ti morderà. I suoi denti sono come i denti del leone, capaci di distruggere le anime degli uomini» (cfr. Sir 21,14) – egli paragona avari e usurai ai denti: «Considera che la ladreria praticata dagli avari è triplice: alcuni troncano, perché non tolgono tutto ma solo una parte; altri sono come i denti canini, e sono i giuristi e i canonisti i quali nelle cause, nei tribunali, per denaro latrano come i cani; altri infine sono come i molari e sono i potenti e gli usurai i quali macinano, cioè stritolano i poveri» (XII dopo Pentecoste, 3).

Dipinge inoltre l’usuraio come un leone superbo e ripugnante: «La gente maledetta degli usurai, forte e innumerevole, è cresciuta sulla terra, i suoi denti sono come i denti del leone. Osserva nel leone due cose: il collo inflessibile, nel quale c’è un solo osso e il fetore dei denti. Così l’usuraio è duro, inflessibile, perché non si piega di fronte a Dio e non teme l’uomo; i suoi denti puzzano, perché nella sua bocca c’è sempre il letame del denaro e lo sterco dell’usura» (Sessagesima, 9).

In queste parole possiamo riconoscere due caratteristiche di cui gli usurai sono privi: la capacità di piegarsi di fronte a Dio e il timore dell’uomo, esattamente due qualità importanti che rendono possibile la giustizia. Piegarsi di fronte a Dio non significa averne paura o adottare comportamenti servili, bensì riconoscere nel Signore la fonte della giustizia e accogliere dalla sua Parola tutti i comandamenti che ci assicurano vita, in primo luogo il comandamento dell’amore vicendevole.

Temere l’uomo non significa vivere relazioni difensive, intimidite, ma essere consapevoli che l’altro che mi sta davanti è una presenza in qualche modo sacra, che si attende da me rispetto e considerazione. Questi due atteggiamenti, nel loro insieme, consentono la giustizia perché ci aiutano ad avere un duplice sguardo ben aperto: quello verso Dio che con il suo amore ci rende giusti; e quello verso gli altri, che mai possono essere trattati con atteggiamenti che li sfruttino e impediscano loro di vivere nella pace.

Si capisce bene che per sant’Antonio non è sufficiente non rubare o semplicemente dare a ciascuno il suo. Perché la giustizia sia vissuta secondo la sapienza del Vangelo occorre invece un atteggiamento estroverso, capace di sporgersi in favore d’altri, per soccorrerne indigenze e sofferenze, per coinvolgerci attivamente nel curare ferite e nel dare concretamente il pane a chi ne è privo.

 

 

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