Settimana per l’unità dei cristiani: rimanere e camminare

Spalancato dal Concilio, il soffio ecumenico negli ultimi decenni ha spinto in avanti i passi della Chiesa, ha pervaso il Magistero e il Ministero degli ultimi Pontefici e si è affermato quale concreto elemento di speranza. E la speranza è virtù dinamica, in grado di dare respiro a ogni cammino, pure nei tornanti più insidiosi.

Pur se incoraggiante e progressivo, il percorso ecumenico non è infatti privo di difficoltà; e questo richiede, accanto al coraggio pastorale, lo sforzo di una ricerca teologica attenta a valorizzare il patrimonio della dottrina, lasciando spazio al germogliare di nuovi frutti.

Proprio per la sua complessità, e forse per paure mai superate, il tema dell’ecumenismo rischia di rimanere, se non relegato, quantomeno riservato alle menti degli studiosi e alle cure della gerarchia, senza coinvolgere adeguatamente il popolo di Dio che ne è invece protagonista, talora in modo inconsapevole e persino profetico.

Ecco, dunque, l’importanza della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: un momento di forte invocazione allo Spirito, Fonte di unità; inoltre, nella e per la preghiera, una presa di coscienza di quanto tale preziosa unità sia affidata a ogni cristiano e allo sforzo del suo cammino, che non si lascia bloccare da stanchezze ma è, piuttosto, esso stesso a riattivare energie, come in una misteriosa palestra di comunione fraterna.

Il tema scelto per l’annuale Settimana di preghiera invita a coniugare un verbo apparentemente non dinamico, “rimanere”: Rimanete nel mio amore: porterete molto frutto (cfr. Gv 15,5-9).

La pandemia da Covid19 ha conferito a questo verbo nuove sfumature. Avvertiamo la difficoltà di dover “rimanere” chiusi in casa o la drammaticità di non poter “rimanere” accanto alle persone care se contagiate, malate, morenti… Possiamo godere di più tempo per “rimanere” a coltivare le relazioni in famiglia o la relazione con Dio nella preghiera…. Nel Vangelo di Giovanni, il verbo rimanere (il greco ménein) indica non solo lo stare in un luogo geografico ma un dinamismo del cuore, ricco di atteggiamenti che sperimentiamo nel quotidiano della vita e delle relazioni.

Rimanere è il verbo dell’unione con Cristo che diventa unione in Cristo. È il dimorare presso di Lui a farci abitare in una comunione, pur se non perfetta, reale e feconda. “Più saremo attaccati al Signore Gesù, più saremo aperti e ‘universali’, perché ci sentiremo responsabili per gli altri”, ha detto papa Francesco all’omelia nella Preghiera ecumenica durante l’Incontro internazionale di preghiera per la pace, il 20 ottobre 2020 a Roma. E la responsabilità esige apertura alla conoscenza.

Rimanere è il verbo dell’ascolto e del dialogo, dunque della conoscenza. Nel dialogo ecumenico, rimanere consente di andare in profondità, scoprire le ragioni dell’altro e, così, essere aiutati a conoscere meglio se stessi, crescendo pazientemente nella fede.

Rimanere è il verbo della pazienza e dei tempi di Dio. La pazienza dell’agricoltore “che aspetta con costanza i frutti della terra” (cfr Gc 5,7), fidandosi del susseguirsi delle stagioni ma continuando a coltivare la terra, in ogni tempo con gesti diversi, e a custodirne con cura i germogli nei quali sa intravedere i frutti, che matureranno anche da tanti percorsi di conversione.

Rimanere è il verbo della conversione e del perdono. “Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione”, ha affermato il Concilio (cfr. Unitatis Redintegratio, 7); e papa Francesco non smette di ricordare come l’unità sia sempre superiore ai conflitti. Conversione e perdono sono la via per il rinnovamento della vita, condizione per quel rinnovamento che l’impegno ecumenico spera.

Rimanere, infine, è il verbo della speranza che apre alla novità dell’iniziativa di Dio. Il dinamismo della speranza spinge fuori da se stessi, proietta verso l’altro e verso l’Alto, immerge nella preghiera per l’unità che Gesù stesso ha fatto, insegnandoci come la comunione sia dono che anche Lui chiede al Padre. Sì, la speranza si fa preghiera, la preghiera ci fa rimanere nel Signore e negli altri; e solo così, solo “rimanendo” nella vicinanza al prossimo e a Dio, potremo “camminare” e accogliere ogni novità, ogni frutto che il Signore vorrà far maturare nel cammino ecumenico.

 

Santo Marcianò
segretario della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo