Quell’insolita arca... al centro di Roma

Sono le 13. È l’ora del pranzo. Questo venerdì arrivano alla spicciolata, ma sono davvero tanti. L’ingresso è in via del Caravita 8/a, Roma. Qui la comunità dei padri gesuiti ha osato rispondere all’invito di Papa Francesco del 2015, anno della vita consacrata: «Aspetto da voi gesti concreti di accoglienza dei rifugiati». Subito quell’invito ha fatto breccia e toccato i cuori. Gli spazi esistenti sono stati risistemati e sono divenuti casa per tanti. La prima famiglia a essere accolta arriva dalla Siria, poi nel 2017 ne arriva un’altra; dopo pochi mesi si unisce al gruppo una piccola comunità religiosa formata da tre suore, le Evangelizing Sisters of Mary: due vengono dall’Uganda e una dal Kenya. «Il nostro carisma è servire - racconta suor Buonconsiglio, 48 anni - La sinergia con i padri gesuiti al Caravita ci porta quotidianamente ad ascoltare i poveri, guidare giovani coppie al matrimonio, aiutare persone con diversi problemi.

In questa grande comunità percepiamo forte il nostro apporto materno». «La chiesa è rinata per la qualità delle celebrazioni e di questa gioiosa accoglienza che le suore offrono» confida p. Massimo Nevola, gesuita, superiore della comunità. «Un contributo di umanità apprezzato da tutti». Nel 2019 varcano la porta 2 giovani provenienti dal Marocco. «Avevamo vinto una borsa di studio - racconta Khalid, 23 anni - ma non avevamo un alloggio e non potevamo permettercelo. Dormivano nei giardini». A segnalarli alla comunità di via del Caravita sono i gesuiti della Cappella universitaria della Sapienza. «Mi sono laureato in Scienze del Turismo e ora sono iscritto alla LUISS in Digital Marketing - aggiunge Khalid - Il mio sogno è lavorare in questo settore. Oggi posso dire grazie a Dio e a padre Massimo. Ho tre genitori: mio padre, mia madre e lui! Mi ha sempre saputo ascoltare e dare buoni consigli».

Le porte sempre aperte

Col passare degli anni le due famiglie accolte vengono aiutate a trovare una sistemazione in autonomia nei dintorni di Roma. Altri entrano in questa insolita “arca”. Un giovane del Madagascar bussa nel 2020; nel 2021 entra una famiglia afgana di Kabul, con la loro piccola appena nata. Neelai, la giovane mamma - a Roma con il marito e il padre - racconta: «Non avevo documenti, non conoscevo la lingua, ma ho trovato una famiglia. Mi hanno aiutato in tutto. Si prendono cura di noi». A settembre lei e il marito, laureati in matematica, si sono iscritti a un master all’università Roma-Tre: «Io sempre in matematica, mio marito in economia. Studiamo ora per poter meglio aiutare la società in Italia e chi è rimasto a Kabul». Nel 2022 alla comunità si aggiunge un giovane iraniano, Agostino, 32 anni, in discernimento per entrare nella Compagnia di Gesù.

Tanti poi gli ospiti di passaggio. A tavola c’è Giovanni da Posillipo, studente di psicologia alla Gregoriana: «È un contesto questo decisamente arricchente e la vicinanza dei padri è davvero preziosa». Con lui anche suor Bernadetta, di Cagliari: «Si avverte una comunità viva, in movimento, in dialogo. Nelle nostre realtà a volte ci si abitua a vivere tra persone conosciute, ci si adagia. L’abitudine è pericolosa. Questa è una bella sfida per la vita religiosa». I coniugi Emanuel e Monica, rumeni, sono passati alla chiesa cattolica da quella pentecostale dopo alcuni lavori di manovalanza compiuti nella chiesa di S. Ignazio, nel Caravita e negli spazi della comunità religiosa. «Siamo rimasti davvero colpiti dal clima di fraternità e accoglienza semplice che abbiamo da subito percepito». P. Massimo sorride da un lato della tavola, mentre osserva attento i volti di ciascuno. «Massimo è bravissimo, simpatico, generoso e napoletano» racconta di lui Floriano, che lo segue da quando piccolo a Campo Giove lo ha incontrato a 8 anni. «Appena ho potuto sono partito per le missioni con lui. Qui sono tuttofare. La sera però cucino io!».

Le difficoltà e il centuplo

Venti le persone che formano la comunità oggi, di cui otto gesuiti a disposizione per la preghiera, il conforto ai malati, per colloqui e accoglienza. «Certo gli spazi sono piccoli» spiega p. Massimo, superiore dal settembre 2015. «Viviamo gomito a gomito, quasi quotidianamente. A volte è difficile accogliere le differenze, inserirle nella società, ma la comunità dei padri ha retto, anche i più anziani, che non lamentano più la solitudine. Di fatto siamo una casa estremamente ricca. Durante la pandemia era una festa continua. Il dialogo interreligioso? È pane quotidiano. Diciamo che preghiamo insieme, in qualche modo. Non è un servizio di sola integrazione, ma un’esperienza reale di famiglia con le sue lentezze, attese, gioie». «Viviamo di provvidenza, della generosità di tanti volontari, quelli presenti nella rete della mensa del Caravita, che ogni sabato – quando il Centro Astalli chiude – apre per offrire un pasto a chi non può permetterselo. Siamo passati dai 60 ai 150 ospiti. Non è la mensa aziendale. Si mangia insieme: padri, ragazzi, ospiti. Un clima di famiglia.

Non ci siamo fermati neanche durante la pandemia. Preparavamo panini e distribuivamo sacchetti». Tante le immagini che passano nella memoria in questi sei anni: «La preghiera a Maria, durante il Covid, sorprendente, tutti insieme. La cuoca, Marina, che accompagna in sala parto la mamma siriana. La riapertura della porta che collega la comunità al vicino Liceo Visconti, già Collegio romano. Un patto educativo che ha generato condivisione di spazi, risorse e proposte per i ragazzi» racconta p. Massimo. «Dobbiamo rischiare un po’ di più tutti - confida - Nelle comunità gli spazi ci sono: condividerli con una famiglia è una ricchezza che attira la solidarietà di tante persone. Gettare ponti, noi per primi, senza attenderli dall’alto: ne scaturisce una fede semplice e coinvolgente».

Siamo al caffè. Gli ospiti si salutano e riprendono le loro attività. Le regole nella comunità ci sono, poche e chiare: gli orari dei pasti, l’aiuto reciproco, l’ascolto, la riunione settimanale di comunità e l’uscita mensile, il pranzo al sabato con i poveri. Non ha dubbi p. Massimo: «Apritevi all’accoglienza per quello che potete fare. Il ritorno in termini di relazioni è garantito. Io con questi... so’ diventato nonno!».

 

Laura Galimberti