Papa Francesco: dai Balcani una lezione per l'Europa

“Un viaggio breve ma molto fitto”. Così il Papa ha definito il suo 29° viaggio apostolico, compiuto dal 5 al 7 maggio. Dalla Bulgaria, “ponte” tra l’Europa dell’est e del sud, e dalla Macedonia del Nord, “mosaico” di culture, etnie e religioni diverse abituate per tradizione ad una convivenza pacifica – in una terra che per la prima volta nella storia vede la presenza di un Pontefice – Francesco ha proposto questo angolo dei Balcani come modello di accoglienza, integrazione e fratellanza, in un continente sempre più diviso che sembra aver smarrito le sue radici cristiane. I cattolici, qui, sono un piccolo gregge, pari all’1% della popolazione: ma possono contare su due grandi santi, Giovanni XXIII e Madre Teresa, per continuare a “sognare” un futuro di pace.

Europa. Bulgaria, “ponte tra l’Europa dell’Est e quella del sud”. Terra di radici cristiane e patria di Cirillo e Metodio, gli evangelizzatori a cui si devono le radici cristiane del nostro continente. Fin dalla prima tappa del suo viaggio, e dal suo primo discorso, indirizzato alle autorità, alla società civile e al Corpo diplomatico, Francesco mette il tema dell’Europa al primo posto. Nella storica piazza Atanas Burov, vittima di un regime che non poteva accettare la libertà di pensiero, lancia un appello a far sorgere in Europa “nuovi percorsi di pace e di concordia”. Il popolo macedone e quello bulgaro sono per l’Europa “un esempio a cui fare riferimento per una convivenza serena e fraterna, nella distinzione e nel rispetto reciproco”, dice il Papa, auspicando che “tale integrazione si sviluppi positivamente per l’intera regione dei Balcani occidentali”.

Migrazioni. “Non chiudere gli occhi, il cuore la mano a chi bussa alle vostre porte”. È l’appello del primo discorso in terra bulgara, la cui storia e tradizione ha sempre puntato a “favorire l’incontro tra culture, etnie, civiltà e religioni differenti, che da secoli hanno qui convissuto in pace”, l’omaggio del Papa. Anche da Skopje, nel discorso alle autorità, Francesco cita “il generoso sforzo compiuto nell’accogliere e prestare soccorso al gran numero di migranti e profughi provenienti da diversi Paesi mediorientali”, come i profughi che giungono dalla Libia, dalla Siria e dall’Iraq. “Oggi il mondo dei migranti e rifugiati è un po’ una croce dell’umanità, e la croce è tanta gente che soffre”, le parole pronunciate dal Papa.

Dialogo. Il Papa che, incontrando il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa bulgara, abbraccia il patriarca Neofit e ne bacia il medaglione che ha appeso al collo. Che sosta in preghiera silenziosa davanti all’effige dei santi Cirillo e Metodio, nella cattedrale Sofia. Che incontra le diverse comunità religiose, dopo aver celebrato a Rakovsky la Messa con 245 Prime Comunioni. Sono le tre instantanee che descrivono l’urgenza del dialogo, da tradursi in “ecumenismo del povero” e in “ecumenismo della missione”, raccomanda Francesco. “Le ferite che lungo la storia si sono aperte tra noi cristiani sono lacerazioni dolorose inferte al corpo di Cristo che è la Chiesa”, e “ancora oggi ne tocchiamo con mano le conseguenze”, dice il Papa al patriarca. L’unico modo per spezzare questa spirale è quello di “non rimanere chiusi, ma di aprirci, perché solo così i semi portano frutto”.

Due santi. Il “santo bulgaro” e “una grande donna”. Sono le due figure che, come aveva già spiegato Bergoglio nei videomessaggi alla vigilia della partenza, hanno ispirato il suo 29° viaggio apostolico. San Giovanni XXIII e Madre Teresa di Calcutta sono il vero “leit motiv” delle parole di Francesco, e vengono citati fin dal suo mettere piede, rispettivamente, nella terra bulgara e in quella macedone. Il “papa buono”, ricorda il Papa,  “portò sempre nel cuore sentimenti di gratitudine e di profonda stima per la vostra nazione”. Visitando il Memoriale di Madre Teresa, Francesco esorta i suoi concittadini e l’intera nazione macedone a farsi, come lei, “voce dei poveri e di tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia” e ad imparare ad essere “vigili e attenti al grido dei poveri, di coloro che sono privati dei loro diritti, degli ammalati, degli emarginati, degli ultimi”.

 

M. Michela Nicolais - Agensir