Noi e il creato

«Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento». Lo so, la citazione è ovvia, ma mi sono venute in mente subito queste parole di fratello Francesco al sentire che il 5 giugno la Cina ospiterà le manifestazioni della Giornata mondiale dell’Ambiente 2019 dedicate all’inquinamento atmosferico. Non spetta certo a me aggiornarvi sull’inquinamento del mondo; però pensare che il 92 per cento della popolazione mondiale non respira aria pulita mi sembra un dato inquietante, e non solo perché è presupposto all’aumento delle malattie cardiovascolari, respiratorie, dei tumori ai polmoni, al fegato, al seno e perfino a un incremento della mortalità neonatale.

Senza contare gli alti costi (un dato a cui siete molto sensibili) dell’inquinamento atmosferico sull’economia globale. Se questo è quanto sta succedendo alla comunità umana, che effetto starà avendo contemporaneamente sull’intero sistema naturale, sugli animali e sulle piante che respirano la nostra aria? Ma non è solo questo: la sensazione è che si sia davanti a un grande peccato collettivo che l’umanità sta compiendo contro il suo Creatore. L’interesse per la salute del creato che il Signore ci ha donato e di cui ci ha fatto “padroni”, ma soprattutto “custodi”, si è molto accentuato in questi decenni in cui sempre più gravi si avvertono i segnali di un cambiamento che appare, anche alla luce delle vaste conoscenze di cui andate così orgogliosi, per molti versi imprevedibile e incontrollabile.

Anche qui l’ovvio riferimento va all’enciclica di papa Francesco che proprio dal francescano cantico di Frate Sole prende il titolo. Anche ai miei tempi, che pure non avvertivano certo la minaccia del disastro ecologico, il rapporto tra uomo e natura era importante e in continua trasformazione. La crescita della popolazione imponeva un’espansione delle terre coltivate, a scapito di foreste, acquitrini e pascoli incolti. Sotto i colpi di scure, di zappa e di vanga si modificò per sempre in modo clamoroso il paesaggio dell’Europa.

Frate Francesco con il suo poetico “Laudato sii”, ma anche con tanti episodi della sua vita come la predica agli uccelli o il lupo di Gubbio ha manifestato il suo gioioso amore per il creato. Anche nella mia vita e nelle mie prediche la natura è importante. Basterebbe notare come, vestendo il saio di bigello, abbia cambiato il mio nome da Fernando ad Antonio, quell’abate che, fino a pochi decenni fa, anche i vostri nonni raffiguravano con il maiale accanto, come protettore del bestiame. Qualcuno ha notato le tante similitudini e proprietà naturali, desunte a partire dalla Bibbia, che si incontrano nei miei Sermoni e ha colto lo sforzo di riconoscere e comunicare i caratteri divini scritti nel grande libro della natura, riconducendola tutta, con le sue creature, alla funzione somma di lode di Dio.

Come non ricordare a questo punto la predica ai pesci, che misi in scena per convincere i cuori aridi dei riminesi: ai fratelli guizzanti ricordai la danza gioiosa tra i flutti con cui osannano il Creatore. E che dire della mula affamata che lasciò da parte il fieno per inginocchiarsi davanti al Santissimo? Consentitemi però a questo punto di ribadire un concetto che rischia di sfuggire anche agli “ecologisti” più determinati del vostro tempo: la salvezza del pianeta Terra non sarà possibile senza una politica mondiale di distribuzione della ricchezza, altrimenti le preoccupazioni per l’aria pulita e per l’integrità delle foreste suoneranno come beffa a chi muore di fame e di miseria.

Nelle mie parole, come in quelle di padre Francesco, come scrive il Papa che ha voluto prenderne il nome, è ben chiaro «fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore».