Nato, studentessa moscovita e la difficile opposizione dei giovani alla guerra

Avere 22 anni, vivere a Mosca, studiare filosofia e pensare in modo diverso da come dice l’establishment nel 2022 è faccenda delicatissima, pericolosa. Al punto che la giovane che abbiamo conosciuto e intervistato con un collegamento streaming, ci ha chiesto di non dire il suo cognome né pubblicare una sua foto. Quella ragazza ha un nome paradossale, per i tempi e il luogo in cui vive: si chiama Nato, nome georgiano non insolito, perché il padre è georgiano, mentre la mamma è russa. “Sono solo una studentessa, nessuno mi conosce e in generale sto zitta, quindi nessuno mi nota”; ma Nato ha bisogno che la sua sicurezza sia tutelata, e noi volentieri lo facciamo. Quella ragazza è speranza. Occhi luminosi, volto solare, grandi occhiali che non vogliono stare al loro posto, risponde generosamente alle domande dalla sua stanzetta piena di libri. Pensa a lungo prima di parlare, in alcuni passaggi la voce si incrina.

La vita di Nato è cambiata dal 24 febbraio scorso: “dall’inizio della guerra non esco più, se non per andare all’università; non frequento più locali, feste, perché io e i miei amici siamo tutti osservati speciali”. Nato racconta della sensazione di isolamento e della necessità di essere attenta ai suoi movimenti, “perché mi aspetto che qualcuno possa segnalarmi e dire che non sono leale”.

La vera svolta nella vita di questa ragazza è stata nel febbraio di sette anni fa, nel 2015, quando Boris Nemtsov, uno dei leader dell’opposizione, è stato ucciso nel centro di Mosca: “Lì ho capito che avevo bisogno di partecipare e che c’era bisogno di fare qualcosa perché la Russia fosse democratica. Avevo 14 anni e ho percepito che non vivevo in una società normale”. La degenerazione democratica è continuata, gli spazi sono diventati sempre più limitati, mentre cresceva in Nato il senso della “responsabilità, come giovane, di lavorare per la democrazia nel nostro Paese”. Pensava di andare via “un anno o due per poi tornare con nuove conoscenze e consapevolezze su come le cose potrebbero funzionare in una società più democratica della nostra”. Ora il desiderio è diventato quasi una necessità.Finiti gli studi di filosofia, dovrà decidere se continuare filosofia, “perché mi piace tanto”, o studiare scienze politiche. Ma dovrà essere in Europa: “Adesso in Russia l’istruzione è controllata in molti modi dal nostro governo e non penso sia una buona idea studiare qui”.

Nato però racconta di non essere sola. Chiedo fiduciosa se sta nei giovani come lei la speranza che un giorno nasca la ribellione alla guerra e a Putin anche in Russia. Ma la risposta delude: “Non penso che i giovani siano diversi dalla generazione precedente. I giovani hanno più informazioni, ma forse questo li porta solo ad essere più liberali. Tanti giovani sostengono la guerra e credono nella propaganda di Stato esattamente come fanno quelli più grandi”. Il divario tra chi approva la guerra e chi no, secondo Nato, non passa tra le generazioni, né tra livelli di istruzione, ma “nel modo di pensare e di percepire se stessi: chi è abituato a pensare in maniera logica, analizzare le diverse informazioni, agire con responsabilità è contro la guerra. Chi invece basa le proprie decisioni sulle emozioni, sulla volontà della maggioranza, chi ha bisogno di sentirsi parte di un insieme, allora sostiene non tanto la guerra in se stessa, ma sostiene il governo perché si sente trascurata dal resto del mondo e ha bisogno di sostenere la Russia perché è l’unica cosa che ha”. E continua: “Sono molte le persone istruite che sostengono la guerra, e questo per me è un mistero, perché la guerra è così devastante anche per la Russia, oltre che per il resto del mondo. Ma comprendo che loro basino le proprie opinioni su qualcosa che è più ontologico, rispetto all’interesse personale. Ovviamente non condivido, ma comprendo che ha una radice nell’eredità molto sentita della lealtà”.

Sarebbero un 30% le persone contrarie alla guerra ancora in Russia, mentre altri 5 milioni hanno lasciato il Paese, anche tanti amici di Nato, soprattutto ragazzi. I dissidenti “rappresentano la parte della Russia che è viva e coinvolta nella politica. Sono le persone che io ammiro e a cui io voglio assomigliare”, dice Nato. Ed è qui uno dei momenti in cui la voce trema. Anche Nato è impegnata attivamente: fa volontariato in un centro che accoglie bambini che hanno sofferto per le azioni delle forze russe e ucraine nel Donbass, collabora con uno dei canali Telegram di Ilya Krasilshchik (il fondatore della testata Meduza), e sui suoi canali social dice apertamente le sue opinioni politiche, ma, specifica “i miei account sui social media sono privati e vi accede solo chi conosco personalmente”.

L’opposizione a chi dice no alla guerra e al regime non è esercitata solo dalla polizia, ma anche dalle tante persone sospettose che si rifugiano “nell’ideologia della lealtà”, spiega Nato: “molti pensano che gli attivisti abbiano interessi personali e non siano leali, tradiscano la loro patria. È un pensiero molto irrazionale”, ma tale per cui l’opposizione fa fatica a sopravvivere, e lo farebbe anche se fosse numericamente più consistente: “Abbiamo l’esempio della Bielorussia: tanti sono scesi in piazza, hanno protestato, sono stati picchiati dalle forze di polizia, ma nulla è cambiato. E in Russia le cose stanno persino peggio. Il leader della nostra opposizione è in prigione, tutti gli attivisti sono all’estero e tutte le forze di polizia lavorano per il governo e sono paralizzate perché non possono fare nulla per opporsi al governo”. Le uniche soluzioni possibili, secondo Nato, possono arrivare “dalla stessa cerchia delle autorità russe o forse da fuori Russia, nel caso di una vittoria dell’Ucraina. Altrimenti non vedo possibilità per la società russa di muoversi verso una rivoluzione democratica”.

Chiara la genesi di questa deriva: “La capacità di Putin di creare questa situazione si è appoggiata sul fatto che la popolazione ha permesso di forgiare questo stato delle cose. Non si era pronti per la comunità globale, non si capiva quale fosse la propria identità, non avevamo una tradizione di saper scegliere e decidere del nostro destino, abbiamo sempre avuto qualcuno che ci rappresentava e ci dava qualcosa in cambio. Putin è riuscito a rendere impossibile la rivoluzione democratica in Russia. Ma non penso riuscirà a vincere nessun’altra partita”.

Intanto però la vita a Mosca continua quasi come prima: “tutto è diventato un po’ più caro, ma per ora la vita quotidiana è stata poco toccata. Certo mancano i pezzi per costruire aerei e macchine”, semplifica Nato. In altre città della grande Russia, la percezione è stata diversa fin dall’inizio, anche in ragione della grande diffusione del simbolismo patriottico. Ci sono però degli scricchiolii: per esempio, si sta percependo la sofferenza di molti che capiscono che sta succedendo qualcosa di spaventoso: “L’Ucraina è una nazione molto vicino alla Russia e i russi capiscono che gli ucraini sono persone umane che provano le nostre stesse emozioni. Anche se sostieni la guerra, la comprensione del fatto che la tua nazione ha provocato qualcosa di così orribile in un Paese così vicino al nostro, è un pensiero terribile”. E anche l’imperturbabile Mosca scricchiola: all’inizio le autorità “sono riuscite a fare in modo che la percezione fosse che nulla stesse avvenendo”. Ora il sindaco di Mosca ha annunciato che i soldi che dovevano servire per le prossime feste nella capitale saranno usati per i bisogni dell’esercito e della guerra: “quindi ora tutti capiscono che siamo in guerra con l’Ucraina e nessuno può più ignorare l’elefante nella stanza. Prima c’era spazio per essere indifferenti, adesso quello spazio non c’è più”.

 

Sarah Numico
Agensir