Migrazioni. Pietro Bartolo: “La politica deve dare le risposte. Ma c’è qualcosa che non va, e si chiama razzismo”

Il naufragio di Cutro ha animato le discussioni nella plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo (13-16 marzo) dove, tra gli scranni dell’aula, siede Pietro Bartolo, eurodeputato italiano, già medico di Lampedusa, piccola isola divenuta simbolo delle migrazioni perché, come lui stesso la definisce, “è una zattera nel mar Mediterraneo”.

“C’è poco da fare, puoi fare commuovere, puoi fare piangere, ma è la politica che può dare le risposte”,
le parole del medico siciliano ai microfoni del Sir, ai quali confida quanto gli manchi la sua terra, il suo mare e quelle persone che per 30 anni ha assistito sul molo Favarolo. La sua sofferta scelta di passare da medico a scrittore, persino ad attore – racconta -, fino alle testimonianze in giro per le scuole di tutta Italia e la sua elezione in Europa, è “solo il tentativo di cambiare la narrazione”, non per aiutare la sua Lampedusa, messa alla prova dalle migliaia di migranti che sarebbero pochi se distribuiti in Italia e in Europa, ma “soprattutto per evitare nuove tragedie”. “Quello che è successo a Cutro era qualcosa di prevedibile ed evitabile conoscendo bene la situazione in mare.

È successo ancora una volta al largo della Libia e poi ancora succederà se non riusciamo a trovare una soluzione a queste tragedie che da trent’anni accadono. Io le ho viste tutte a Lampedusa: un morto, due, cinque, dieci, venticinque, 368 il 13 ottobre 2013. Sono più di 40mila i morti nel Mediterraneo e questa è veramente una vergogna per l’Italia, per gli Stati membri e per l’Europa intera che deve dare le risposte”. Il medico lampedusano ha le idee chiare su cosa sia necessario per gestire al meglio il fenomeno della migrazione, evitando ciò che è accaduto a Cutro.

“Sicuramente gli Stati devono fare qualcosa, ma l’Europa deve esprimersi e dare quelle risposte che da tempo aspettiamo. Risposte che dovranno dare una soluzione al fenomeno migratorio che fino ad ora abbiamo affrontato con il contrasto, con il quale non si va da nessuna parte. L’Accordo di Dublino è un fallimento, perché se ancora oggi parliamo di morti in mare, abbiamo sbagliato tutto. Dobbiamo cambiare paradigma rispetto al fenomeno migratorio”.
Molto critica la posizione di Bartolo nei confronti della cosiddetta “dimensione esterna” intesa come accordi con Paesi terzi per bloccare la migrazione.

“Creare muri, assoldare le polizie locali per bloccare queste persone, questo non porterà a nulla”. La dimensione esterna “che intendo io invece è quella di aiutare quei Paesi a crescere, creare uno sviluppo e dare una possibilità a queste persone di restare a casa propria. Chi vorrebbe lasciare casa propria se non è costretto? Il disagio a casa loro l’abbiamo creato noi, il mondo occidentale e opulento che è andato li portando guerre, fame, miseria e cambiamenti climatici, e adesso che sono costretti a scappare cerchiamo di mettere muri, filo spinato e creare la fortezza Europa che non fermerà queste persone”. Inutile sarebbe questo atteggiamento, così come quello di pagare Turchia e Libia per trattenere i migranti, infatti questo contribuirebbe – sostiene Bartolo – ancora di più al finanziamento dei trafficanti di esseri umani. “Bisogna evitare che queste persone mettano anche solo un piede nel mare, dove si muore. Io lo conosco molto bene il mare, specialmente quel mare diventato un cimitero.

L’Europa deve insistere sui canali migratori regolari, creando le condizioni necessarie, come ad esempio la distribuzione automatica in tutti gli Stati membri delle persone che arrivano”. “Non è un’invasione, come ce l’hanno fatta passare. In realtà sono numeri ridicoli se li paragoniamo a quelli dell’Ucraina, dalla quale abbiamo ricevuto nel giro di un mese 5 milioni di persone implementando la direttiva 55 per la protezione temporanea”.
“Quindi se riusciamo ad accogliere tutte queste persone dall’Ucraina, dando loro ciò che occorre, e non riusciamo invece a risolvere un problema di poche centinaia di migliaia di persone l’anno, evidentemente c’è qualcosa che non va, e quel qualcosa si chiama razzismo”.

Una critica che fa riflettere quella di Pietro Bartolo che sogna un’Europa solidale, aperta e accogliente come dimostrato con gli ucraini. A suo avviso non regge la distinzione tra migranti, “compresi quelli economici, visto che chi muore di fame non è diverso da chi muore per la guerra”. La ricetta giusta sarebbe “intendere il fenomeno migratorio non come un problema ma come un’opportunità, una ricchezza”.
“Sappiamo benissimo che l’Europa è un continente vecchio, anziano e fra qualche anno saremo una Rsa, e quindi abbiamo bisogno di queste persone che ci possono aiutare a risolvere i nostri problemi di natura demografica, economica, culturale, di tutti i tipi”.

Aggiunge: “stiamo parlando di esseri umani. Donne, uomini e bambini che abbiamo visto morti in questi giorni sulle spiagge di Cutro. È una vergogna che non abbiamo imparato nulla dal passato. Quando abbiamo visto quel bambino morto sulla spiaggia in Turchia, il mondo intero si è indignato. Ma io di Alan Kurdi ne ho visti a centinaia, personalmente, e ancora oggi ne vediamo. Questo non appartiene alla cultura, al Dna dell’Europa”.
Bartolo, con la voce rotta dall’emozione, conclude: “L’Europa è basata su principi e valori che sono accoglienza, solidarietà, rispetto dei diritti umani, rispetto del diritto alla vita, e questa è la strada che dobbiamo ripercorrere. Non mostrando solo il lato disumano del contrasto alle migrazioni, ma anche quello umano, se vogliamo affrontare il fenomeno migratorio con intelligenza, razionalità e lungimiranza”.

Gianni Borsa e Mario Calvarese
Agensir - Foto SIR/Marco Calvarese