Il cammino sinodale includa le persone con disabilità

È iniziato nel mese di ottobre in tante diocesi italiane il cammino sinodale. In questo primo biennio siamo chiamati a metterci in ascolto; in ascolto dei luoghi, in ascolto delle persone e in ascolto delle realtà. La sfida che ci propone papa Francesco da anni è l’uscire, non solo fisico ma mentale: sia dai nostri schemi, sia da come pensiamo che possa andare il Sinodo.
Se realmente si accoglie l’invito, il cammino sinodale può diventare un’opportunità nelle Chiese locali di riconoscersi Chiesa generativa, Chiesa che annuncia e non esclude nessuno.

E le persone con disabilità? Dalle statistiche dell’Onu sono il 15% della popolazione e molti di loro non sono intercettati dalla nostra pastorale e dalla nostra quotidianità.I momenti di ascolto dovranno coinvolgere che abita i nostri cortili e chi non li abita. La maggior parte delle persone con disabilità e le loro famiglie sono esterne ai nostri “incontri”.
La sfida potrebbe essere uscire dalla pastorale della sola testimonianza per le persone con disabilità, che tocca sicuramente il cuore, l’emozione, ma spesso non mette in moto dei processi, delle riflessioni che scardinano l’adagio del “si è sempre fatto così” (EG n. 33) alla pastorale dell’ascolto attivo.

Il desiderio delle persone con disabilità e dei loro famigliari è che la loro presenza sia ordinaria, non ci siano incontri ad hoc per loro, ma nei 5 anni si possa riscoprire la possibilità di riconoscersi “noi”. In Italia dal 1970 ad oggi si sono fatti tantissimi passaggi, si è lavorato in sinergia non solo per rimuovere le barriere architettoniche, ma soprattutto le barriere mentali i pregiudizi e il definire l’altro attraverso la sua diagnosi. In Italia abbiamo tante parrocchie che hanno messo in atto un processo inclusivo, ma sempre più questo deve diventare patrimonio comune.

Il cammino sinodale, attraverso le sue molteplici proposte, può diventare la palestra dove la comunità impara ad incontrare i volti oltre la pastorale degli eventi, a riconoscere l’altro ad imparare i modi in cui l’altro comunica, interagisce.Come dice un attivista con autismo: "Aiutateci a creare dei ponti tra noi e voi".

In Italia la Messa di apertura del Santo Padre al Cammino sinodale è stata resa da subito fruibile in Lingua dei segni per permettere alle persone con disabilità comunicativa di poter partecipare. Alcune diocesi, all’interno del cammino sinodale e della Commissione che se ne occupa, hanno inserito sin da subito la riflessione su come poter includere in modo attivo le persone con disabilità.Come Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità, stiamo elaborando alcune proposte e prassi declinando quelle consigliate sul sito camminosinodale.chiesacattolica.it.

Il primo passo è rimuovere le barriere comunicative, l’importanza dell’accessibilità e leggibilità, dalla fruibilità dei testi in braille elettronica, per gli ipovedenti, in lingua dei segni, con la comunicazione semplificata e in comunicazione aumentativa e alternativa. Inoltre i video che tengano conto della sottotitolazione. Potremmo pensare che questo basti, ma in realtà è il primo passo: poi bisogna creare contesti, domande e riflessioni che possano suscitare nei piccoli gruppi confronto, riflessioni per camminare insieme.

Il cammino sinodale è un’esperienza dello Spirito, un cammino non predeterminato e lì Dio vuole generare: osando e camminando insieme si potrà arricchire di relazioni, volti, incontri e dialoghi. Non rifarsi il trucco.Con il Covid abbiamo visto il fallimento di alcune esperienze pastorali e abbiamo accertato che è necessaria una conversione in chiave missionaria, che non escluda nessuno. E questo deve diventare lo stile sinodale, il nostro modo di essere.

Un brano evangelico che mi ritorna nel cuore è l’incontro tra Pietro e Giovanni con lo storpio alla Porta Bella del tempio (Atti 3,1-10). Mons. Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata, all’incontro con il clero sulla disabilità il mese scorso in previsione del Sinodo, commentava che a volte i capi carismatici (Pietro e Paolo) credono di risolvere il problema dello storpio dando oro e argento. Spesso si crede anche che lo storpio possa stare solo alla soglia del Tempio, e non dentro: pensiamo alle tante realtà di fragilità che non coinvolgono e non sporcano le nostre mani. Anche Pietro e Paolo vorrebbero dargli dei soldi, che forse risolvono la fame ma non danno la salvezza e soprattutto la relazione, la sete profonda.

Ma poi, coraggiosamente, dicono: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”. Ecco una Chiesa che non teme di dire che è povera, ma con la mano tesa offre la comunione con Dio, la relazione vera. E tutti e tre insieme entrano nel Tempio lodando Dio.

La speranza è che quello che è iniziato sia un cammino sinodale santo e non un save the date.

 

Veronica Amata Donatello
Agensir