Non sono eroi, solo giovani con il desiderio di promuovere un po’ di pace e speranza. Così in undici, guidati da p. Francesco Cavallini che vive a Palermo, hanno risposto all’invito del gesuita, che ogni anno promuove pellegrinaggi per giovani in Terra Santa, per essere in quei luoghi, toccati dalla guerra, consolazione.
«Essere lì ha permesso di rompere una quotidianità intrisa di rancore e abbandono, di vedere e ascoltare storie, toccare con mano la bellezza di persone che rispondono al male con il bene» spiega Giacomo, 32 anni, tra i partecipanti. Diversi i servizi svolti: un centro estivo per bambini e giovani a Nablus (in Palestina) con l’organizzazione di Human Supporters, un aiuto alle suore comboniane nell’animazione di diversi villaggi beduini nel deserto di Giuda, il lavoro nei terreni di Tent of Nations (a Betlemme), aiutando un contadino betlemita a coltivare e custodire pacificamente il suo terreno minacciato dall’espansione dei coloni. Non tutti i partecipanti sono riusciti a raggiungere i luoghi a causa della cancellazione dei voli di numerose compagnie aeree per l’intensificarsi degli scontri.
«Nonostante le difficoltà, non è mai venuto meno il desiderio di dare il proprio contributo, sebbene piccolo» racconta fratel Giacomo Andreeta, gesuita in formazione. «Abbiamo ridipinto un paio di asili e fatto attività con bambini beduini. Ho imparato qualche parola di arabo e anche solo con quelle riuscivamo a giocare. L’entusiasmo era tale che - ci hanno confidato le suore - alcuni bambini si alzavano alle 4 del mattino per vivere la mattinata con noi». È stata un’esperienza ricca e toccante. Un’occasione per riscoprire anche l’umiltà: «Non ho cambiato nulla, non sono un eroe, chi rimane lì ha ben più coraggio di me!».
«Sulla collina sopra Nahalin ho fatto un po’ di tutto - aggiunge Davide, insegnante di religione a Milano - Ho costruito recinzioni, dato da bere a ulivi appena piantati sulla collina, impastato il cemento». «Spesso mi sono ritrovato a costruire qualcosa per difendere la vita. Dà molta speranza, anche se la situazione, le tante ingiustizie, alle volte sembrano toglierla», racconta Gabriele, bancario di Bologna, che ha trascorso due settimane a Tent of Nations.
Chiara, 33 anni, insegnante di matematica a Padova, è stata a Nablus, dove da mesi non si vedevano volontari internazionali, ospiti abituali nei mesi precedenti: «Ho avuto la possibilità di confrontarmi con persone molto diverse da me, eppure così simili. Abbiamo proposto attività di animazione per tanti bambini e al tempo stesso ascoltato storie di animatori del posto, che ci hanno aperto le porte delle loro case. Siamo stati accompagnati anche a dare da mangiare a tanti sfollati provenienti da Gaza. Non ero mai stata in Terra Santa. Forse non sarei mai venuta solo per visitare i luoghi o per pregare, ma unire questa partecipazione attiva nel costruire la pace attraverso le relazioni mi ha davvero toccato nel profondo. Trovare persone che, nonostante i soprusi, rispondono con il bene, la pace, l’impegno nell’educazione davvero interroga la mia quotidianità». Elena, responsabile di un oratorio a Milano, ricorda: «La prima notte, mentre andavo a dormire, ho sentito un boato. A rincuorarmi ha pensato una suora: è solo una molotov, tranquilla, mi ha detto. Non lo ero affatto, ma là con loro, che vivono questo ogni giorno, mi sentivo a casa, accolta».
Tanti sono i volti impressi nel ricordo, tante le storie raccolte, i luoghi visitati. «Un’esperienza di profonda umanità, come il lavoro nascosto dell’artigiano che ha pazienza, si sporca le mani, resta, ascolta, offre il suo tempo. Per distruggere basta poco, ma per costruire e ricostruire serve molto tempo, sia per le strutture sia per infondere coraggio e speranza laddove sembra che la parola futuro sia solo un miraggio» sottolinea p. Cavallini. «È stato fondamentale affiancare chi opera già in queste realtà. Non abbiamo fatto molto, ma ci siamo stati: non vogliamo voltare lo sguardo altrove». Stare più che fare, per cambiare il proprio sguardo. «Tutti i partecipanti sono usciti profondamente cambiati dall’esperienza, testimoni di ciò che avviene al di qua e al di là del muro che da decenni segna il panorama della Terra Santa» sottolinea. «Portiamo con noi sguardi, storie, vite che non ti mollano più, insieme alla possibilità di creare relazioni, legami, ponti».
L’impegno non si è fermato. Diversi ora operano attivamente durante tutto l’anno, tramite le organizzazioni già presenti. Continua la raccolta fondi pro Siria attraverso il progetto Yalla Aleppo, promossa da Percorsi di Vita. Già allo studio il prossimo campo di servizio non solo in Palestina, ma anche in Siria e Congo. «Triplichiamo l’impegno. Le notizie che arrivano ogni giorno sonodrammatiche e la vicinanza fisica alle persone del posto è importantissima, dona speranza, voglia di raccontarsi, rimettersi in gioco. Nessuna agenzia viaggi organizza esperienze lì. Le assicurazioni non rispondono di quel che succede. Esserci e condividere è fondamentale».
Info su: www.percorsidivita.org
Laura Galimberti