Quest’anno del Signore 2019 la Pasqua cade il 21 aprile. È quindi, come si dice, una Pasqua “alta”, tardiva. L’ultima Pasqua della mia vita invece, quella del 1231, cadde molto “bassa”: l’ho celebrata il 23 marzo, all’altro estremo delle date possibili. La ricordo bene perché concluse il più gioioso e insieme il più faticoso periodo della mia vita: quaranta giorni di predicazione quaresimale quotidiana, dal 5 febbraio, mercoledì delle Ceneri, al 16 marzo, domenica delle Palme, condotta nelle chiese parrocchiali e monastiche del centro e del suburbio di Padova.
Ero già minato dal male che mi avrebbe ucciso dopo neanche tre mesi, ma mi sentivo in forze, animato da uno spirito che non riuscirono a spegnere neanche gli attacchi del maligno che una notte, proprio all’inizio della predicazione, mi serrò la gola al punto quasi da soffocarmi. La mia prima biografia, l’Assidua, così descrive l’effetto di quelle prediche: «Riconduceva i discordi alla pace fraterna, ai detenuti ridava la libertà; faceva restituire quanto era stato depredato con l’usura o con la violenza...». Il mio biografo, a dire il vero, attribuisce a me un merito che invece scaturiva tutto intero dalle parole del Signore che io mi limitavo a enunciare e a spiegare.
Nella mia predicazione, è vero, c’era la cultura che avevo appreso nei lunghi anni di formazione a Lisbona e a Coimbra, ma quella cultura teologica libresca era stata dilavata e depurata dall’esempio di frate Francesco, preoccupato soprattutto, come mi scrisse, che “tu non estingua lo spirito della santa orazione e devozione”. Che non perdessi di vista, insomma, l’amore ardente verso l’unica fonte della Salvezza, Gesù Salvatore, morto per noi e risorto il terzo giorno.
Riguardo tra gli appunti che ho lasciato scritto, a traccia e guida dei predicatori francescani, i Sermoni domenicali e festivi, quelli dedicati alla Pasqua del Signore. Mi piace qui ricordare ciò che scrissi riguardo alle tre Marie che il mattino di Pasqua si recarono al sepolcro: Maria Maddalena, Maria di Giacomo, Salome. Ne lessi le tre virtù della nostra anima che dobbiamo coltivare per incontrare il Signore risorto. La prima, racchiusa nella Maddalena, è l’umiltà della mente, «che mentre reputa se stessa nulla, si protende verso l’alto come una torre». L’umiltà del penitente che capisce i suoi limiti e i suoi errori e ne piange, e se ne pente, e ne fa penitenza. Sempre l’Assidua ricorda che, in quel famoso quaresimale del 1231, «sì grande moltitudine di uomini e di donne» era indotta a confessare i peccati che «né i frati né gli altri sacerdoti che seguivano in buon numero il predicatore erano sufficienti ad accoglierne le confessioni».
Maria di Giacomo, la seconda, sta a rappresentare il “disprezzo del mondo”, che consente di calpestare le cose transitorie, di togliere il vecchio lievito, la cupidigia ribollente delle cose terrene, beni e piaceri che calpestano la nostra anima, per diventare “pasta nuova”. Terza Salome, “l’abbondanza della pace”, che, come dice re Salomone, esprime le tre cose gradite a Dio e agli uomini: la concordia dei fratelli, l’amore tra i vicini, l’accordo tra marito e moglie.
Le tre Marie, il nostro animo armato di umiltà, distacco dall’effimero e amore per gli altri, si accosterà al sepolcro vuoto pronto a recepire la grande “sorpresa” che Cristo ha in serbo per lui, la Risurrezione.
(di Lorenzo Brunazzo)