Anno 137 - Luglio-Agosto 2025Scopri di più
Quando il cuore vibra fa brillare i diamanti
Gabriele Pedrina

Un talento, almeno uno, ce l’abbiamo tutti; difficile è rendersene conto. Difficile perché, a volerlo cercare, pensiamo debba essere uno dei soliti: saper cantare, suonare, palleggi e acrobazie, dipingere. Non solo; viene anche facile pensare che un talento, per essere tale, debba essere bello evidente. Come dire: «Se è cantare, devo saper cantare almeno come quelli di Amici, sennò che talento è?».
I talenti possono essere dei diamanti, ma anche delle paillette o dei brillantini: li vedi un attimo, quando sono attraversati dalla luce e cogli il riflesso che ne esce. Un talento è talento per questo: perché si fa notare, perché si stacca da tutto il resto che appare ordinario. Vedi lo sbrilluccichio, ti fermi e vai a guardare cos’è. Se è un diamante lo vedi subito e fai “Wow”. Se è un brillantino ti incuriosisce uguale, lo individui e ti chiedi: «Che faccio? Lo tolgo o lo tengo?».
Io, ragazzi, non butterei via nulla! La luce di quel riflesso non arriva a caso: arriva da noi. Dicono che la luce è un’onda, quindi potrei dire che è una forma di vibrazione. Ecco: quando il nostro cuore vibra (e, alla vostra età vibra più forte di un subwoofer) è come se generasse quella luce che illumina diamanti o paillette e li fa brillare. Se non li incontrasse, la luce si disperderebbe inutilmente … e tristemente. Per cui se trova qualcosa che la trasforma in bagliore, allora quel cuore farà di tutto perché il brillantino cresca … carato dopo carato. Il cuore non è stupido: se sobbalza quando scopre qualcosa di speciale in noi, è perché ha trovato un modo per farci viaggiare nella vita veloci e lontano. Non può pensare di farci fare strada solo a forza di ciò che si deve fare, con addosso il peso di qualcosa che non piace o, peggio ancora, impantanati nella noia del “sempre quello”. Il cuore, che distribuisce la sua energia su ogni parte di noi, ha bisogno di non vibrare invano e di scoprire che c’è qualcosa per cui vale la pena battere.
Poter vivere grazie a un talento è senz’altro preferibile. Non significa che in questo caso non si faccia fatica, perché non è che, ad avere un talento, venga tutto facile, senza bisogno di esercizi, senza errori o fallimenti. Però tutto ciò lo sentiamo come qualcosa di nostro, di naturale, attraverso il quale viene fuori quello che siamo. Certo: con alcuni talenti può essere difficile camparci, perché non sapremmo come tradurli in un lavoro. Però non li butterei via lo stesso, perché anche se non si trasformano nel lavoro della vostra vita, lo possono colorare.
A me piace scrivere e anche se mi costa fatica, son più di 25 anni che sto qua a raccogliere pensieri in forma di parole da pubblicare per voi. Così al lavoro se c’è da scrivere non mi tiro indietro, perché mi piace e quelle giornate diventano leggere e motivanti; mi viene più facile metterci del mio. Da quando Gesù ha raccontato quella parabola (Matteo 25, 14-30) è ormai una convinzione generale che sia un vero peccato non mettere a frutto quella cosa che ci rende speciali e che può portare qualcosa di buono anche per gli altri.
Gli altri ci possono aiutare a riconoscerli e sostenerci nel farli crescere, ma i primi a crederci dobbiamo essere noi, senza farci prendere dalla paura di fallire, di cadere da un piedistallo dove ci esaltava il poterci salire. La paura fa brutti scherzi perché si aggrappa al male che proviamo per la vergogna e non per le botte della caduta. A quelle da ragazzi neanche ci si fa caso. Riprovateci, perché il bello di salirci sopra non sta nel fatto che è come un palco, dove gli altri ti guardano dal basso, ma perché da lì vedi la vita dall’alto, con un orizzonte bello ampio, dove il tuo piccolo bagliore può illuminare il mondo.