Anno 137 - Luglio-Agosto 2025Scopri di più
Da piccoli cespugli a querce robuste
Elide Siviero

Piace tanto il verbo corroborare. Forse perché il caldo dell’estate mi sfinisce tantissimo e ho bisogno di trovare forza. Sono affascinata dall’etimologia di questo termine che significa fortificare, rinvigorire, ritemprare, avvalorare. Viene dal verbo latino roborare, irrobustire, che a sua volta deriva da robur che significa forza, ma anche quercia, col prefisso co-.
Questa parola tocca quindi una corda sorprendentemente profonda dell’immaginario più antico: quella della forza legata alla quercia. I linguisti dibattono se sia nato prima l’uovo o la gallina, se sia precedente il riferimento semantico all’albero o quello alla forza, ma gli studi più recenti sembrano preferire come primo referente la quercia. Corroborare significa quindi fortificare: non un irrobustire assoluto, ma concreto, presente in una situazione precisa: una tazza di thè caldo è corroborante in inverno, mentre in estate lo è un bicchiere d’acqua fresca. È corroborante la lettura di un testo amato, un esercizio ginnico dopo un infortunio. Lo è anche quanto rinfranca un mio pensiero o una mia decisione. Tutto quanto mi sostiene e mi conforta è corroborante.
È come vedere un tenero e fragile arbusto che si inquercia. Questo verbo mi richiama i versetti di alcuni salmi che celebrano la potenza di Dio. Ce n’è uno che si apre con un’affermazione autorevole: «Ti amo, Signore, mia forza» e prosegue descrivendo tutte le caratteristiche di questo sostegno: «Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo» (Sal 18). Questo testo è un Te Deum regale, un’ode trionfale che unisce a una preghiera di ringraziamento, un cantico regale di vittoria. Il titolo ci informa che il salmo sarebbe stato composto da Davide “quando il Signore lo liberò dal potere di tutti i suoi nemici e dalla mano di Saul”. È un salmo che celebra Dio e la sua vittoria a favore dei poveri. La vita dell’uomo è una battaglia, ognuno è chiamato a scendere in campo contro il male, contro l’Avversario che vuole impedire la via della grazia. Ma ogni cristiano sa che la venuta di Cristo lo ha già reso vittorioso, perché in Gesù ognuno è libero e salvo.
Anche il Salmo 29 ha affermazioni simili: «La voce del Signore è forza, la voce del Signore è potenza. La voce del Signore schianta i cedri, schianta il Signore i cedri del Libano». È una lode al Signore della bufera. È interessante notare come un atteggiamento tipico degli uomini primitivi, lo stupore e lo sgomento per le forze della natura, diventi preghiera nella Scrittura. Il testo sembra un inno alla tempesta: in realtà è l’esaltazione della potenza di Dio, rappresentata dai tuoni, dai fulmini, dallo scompiglio della creazione. Il salmista contempla questa sorta di uragano apocalittico che parte dal mare, avvolge le montagne e schianta i robusti cedri del Libano. Un grande cataclisma che sconvolge la creazione. Ma il Signore domina le forze della natura e governa la storia. Il popolo è invitato a confidare in Lui, perché anche l’uragano, così indomabile, in realtà è solo un docile esecutore di Dio, una sorta di suo portavoce.
Ma la frase più corroborante ce la offre San Paolo: «Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,9-10). È la meraviglia di essere piccoli e deboli cespugli che diventano querce perché Cristo ci abita, ci sostiene, ci corrobora.