Altro che 30 minuti. La “Messa senza fretta” ne dura 75. Uno spazio e un tempo per rallentare, riconnettersi con le proprie emozioni, rimettersi insieme in ascolto della Parola da spezzare e gustare insieme. A offrirla a Torino, Milano, Bologna e Roma sono i gesuiti. La frequentano tanti giovani, e non solo, che così la descrivono: «Mi dona carica ed energia. Preferisco questo tipo di Messa a quella tradizionale. È bello sperimentarsi con gli altri in comunione, non da soli. Un’opportunità in più per entrare in modo più vivo con il Signore. Mi ha aiutato a sentirmi parte di una comunità».
In un tempo accelerato, sembra un paradosso. A spiegarlo è p. Cesare Sposetti, da Milano: «Ci siamo domandati perché sempre meno persone sono invogliate alle celebrazioni eucaristiche, in particolare i giovani. Abbiamo pensato di tornare a valorizzarne l’interiorizzazione e la dimensione comunitaria, i punti su cui abbiamo lavorato». L’idea nasce a Parigi con “la Messe qui prend son temps”. Viene portata in Italia a Bologna da p. Jean Paul Hernandez, gesuita. «Le persone rimangono molto colpite dalla sensazione di celebrare davvero insieme» spiega p. Cristiano Laino, direttore della pastorale giovanile del Centro Poggeschi di Bologna. «Tanti passando davanti alla chiesa provano stupore e meraviglia, si chiedono perché tanti giovani siano presenti. Non si tratta della Messa legata all’obbligo, al catechismo vissuto da bambini. Quell’esperienza va risignificata. I simboli in generale perdono il loro significato quando si perde la relazione con essi. Bisogna riattivarli, educare a ciò che sta oltre, dalla ritualità allo spezzare il pane, allo stare insieme». «Ho sempre frequentato la Messa – racconta Maria Velia Gianfelici – ho cercato da grande di darle un significato diverso: è per me un appuntamento con una persona da incontrare. I miei coetanei spesso non percepiscono questo desiderio, solo perché ancora non è emerso. Ognuno ha il suo tempo. Quando si avverte questo bisogno, l’importante è lasciare il cuore aperto».
A Torino, Milano, Bologna e Roma A San Vitale, Bologna nella cripta medioevale si propone, dopo l’omelia, una meditazione guidata perché le persone possano sentire interiormente la Parola. «Un tempo necessario – spiega p. Cristiano – una predisposizione a sentire e gustare il tempo. Se uno non sente, difficilmente riesce a pensare e agire. Devi sentire bene le parole, lasciarle sedimentare, ruminare. Siamo come strumenti musicali. Abbiamo bisogno di un tempo per vibrare». L’omelia parte da una riattualizzazione con esempi pratici di quello che la Parola dice: «Un esempio che riporti alla quotidianità quel testo. Per poi sviscerarlo magari evidenziandone alcuni punti. Normalmente una buona omelia può rispondere al massimo a una domanda, un punto. È il lavoro preparatorio da fare. Una cosa non troppo astratta e concettuale. Abbiamo bisogno di una relazione con il nostro vissuto quotidiano». «Partecipo a Roma alla Messa senza fretta – spiega Maria Velia – A me piace molto il momento di preghiera silenziosa che viene proposto dopo l’omelia. Posso cercare di capire come questa parola si incarna nella mia vita personale, cosa fa risuonare in me, cosa mi comunica. Tutto questo poi cerco di viverlo all’interno della preghiera, di capire cosa ha da dirmi. Ogni domenica è diverso, ogni domenica anche io sono diversa. Ci sono giornate in cui faccio più fatica, altre in cui mi risulta più semplice». «Aiuta tantissimo anche il sacerdote» aggiunge p. Cristiano. «Le Messe non si celebrano da sole. Un’equipe di giovani collabora: dalla musica, molto importante, al coordinamento dei vari momenti. Si è creata una bella comunità di ragazzi che la frequentano. È chiaramente aperta a tutti. Tornano per vivere l’esperienza come comunità».
Lo schema L’omelia, il momento di riflessione personale, poi anche la preghiera dei fedeli è condivisa. «Lasciamo dei post it e delle matite. L’equipe dei giovani che ci aiuta le porta sull’ambone, le raduna e le legge. Il coro con un canone di Taizè affida al Signore tutte le preghiere presenti». Il silenzio spesso diventa un vero esercizio di scelta vocazionale. «Ho imparato a mettermi in ascolto, a fare spazio alle mie emozioni, a ciò che sento dentro di me» aggiunge Maria Velia. «Da questo poi ne sono nate scelte e azioni». 15 minuti di silenzio da vivere senza fretta. Un esercizio, un’educazione, un assaggio per imparare a gustare qualcosa di grande per orientare la vita.
Laura Galimberti


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